NUCLEUS
di Rory Clements - La Corte Editore - 2019 La trama: 1939. La seconda guerra mondiale sta per esplodere e Tom Wilde sta rientrando dall’America dove ha incontrato il presidente Roosevelt, che gli ha affidato un compito del tutto inaspettato. Il professore deve infatti sfruttare la sua amicizia con il fisico Geoff Lancing, per tenere d’occhio gli scienziati del Cavendish, il laboratorio dove menti geniali stanno lavorando alla scoperta che potrebbe cambiare le sorti del mondo intero e da cui sembrano dipendere gli esiti dell’imminente guerra: la fissione nucleare. Appena tornato a Cambridge, si ritroverà anche a dover ospitare un famoso fisico fuggito dal campo di concentramento di Dachau e scoprirà che Lydia, la sua fidanzata, si è recata a Berlino per una pericolosa missione: la ricerca di un ragazzino scomparso durante uno dei Kindertransport organizzati per permettere a bambini ebrei di fuggire dalla Germania in Gran Bretagna e riuscire così a salvarsi. Quando uno dei migliori cervelli del Cavendish viene assassinato, il professor Tom Wilde viene coinvolto in un intrigo da cui non sembra esserci scampo. Mentre anche l’IRA mette sotto assedio l’Inghilterra, Tom Wilde dovrà scoprire di chi potersi fidare in una cospirazione che va da Cambridge a Berlino e dagli Stati Uniti all’Irlanda. Riuscirà a scoprire la verità prima che sia troppo tardi? Il libro: Per i lettori italiani, quello di Rory Clements è un nome nuovo. Non è così oltremanica, Clements è approdato alla narrativa dopo una lunga e rispettata carriera da giornalista. La sua preparazione professionale è evidente in ogni pagina di Nucleus, il suo secondo thriller storico ambientato all'alba della seconda guerra mondiale (preceduto da Corpus, 2017, pubblicato in italia sempre da La Corte Editore). Nucleus è un'opera che si posa su un solido lavoro di ricerca storica, eppure regala scorci di narrazione pura che lo rendono una lettura estremamente appassionante. Un thriller che ricorda il miglior Robert Harris, ma riesce a ritagliarsi un'identità specifica, personale, fortissima. La premessa è familiare, già trattata da opere altrettanto riuscite e importanti, ma è arricchita di livelli di lettura e sfumature poco conosaciute: la minaccia nucleare all'alba del secondo conflitto mondiale. Si respira un'aria di tensione palpabile, in Nucleus. Le forze politiche e militari, così come la gente comune, sentono il conflitto sempre più vicino. C'è chi non vede l'ora di abbracciarlo, sospinto da ambizione, brama di potere, fede cieca in ideali impossibili da giustificare. E c'è chi ancora stenta a fare pace con il proprio passato e gli spettri della prima grande guerra. Gli anni raccontati in Nucleus sono tesi, febbrili, in bilico tra volgia di rivalsa e un terrore strisciante che è difficile anche solo tentare di descrivere. Gli anni raccontati in Nucleus sono tesi, febbrili, in bilico tra volgia di rivalsa e un terrore strisciante che è difficile anche solo tentare di descrivere. Ma Clements ci riesce, racconta con disinvoltura le meraviglie del panorama inglese, come i terrori della Germania nazista. E lo fa attraverso un fiorire di punti di vista, e personaggi, dalla natura e dai trascorsi diversi. C'è il professore americano trapiantato in Inghilterra, l'attrice britannica che ha fatto fortuna in america, la moltitudine di menti brillanti che studiano la fissione nucleare, e la prospettiva di un ribelle irlandese con una missione da portare a termine. Tra tutti, spicca il protagonista Tom Wilde, accademico americano e docente a Cambridge. È un uomo dall'intelletto affinato come un rasoio, ma anche di profonda sensibilità umana. Le sezioni che affondano nella sua visione del mondo, così come nel passato che lo tormenta, sono le più genuinamente appassioanti di tutto il racconto. Wilde è fallibile, schietto, affronta le proprie debolezze con la consapevolezza di un uomo che ha sofferto molto e ha imparato a non inzuccherare la verità, eppure non ha perso la voglia di vivere e la capacità di gioire di dettagli semplici. Tom Wilde è un protagonosta a cui ci si affeziona facilmente. Dio, prenderei volentieri una pinta di birra con lui, sul serio (o due, o tre... insomma, avete capito). Tom Wilde è un protagonosta a cui ci si affeziona facilmente. Dio, prenderei volentieri una pinta di birra con lui, sul serio (o due, o tre... insomma, avete capito). Ed è un peccato che le necessità narrative, forzino spesso l'iquadratura ad allontanarsi da lui. Ma ne capisco la necessità: Nucleus è un racconto complesso, in parte spy story, in parte romanzo storico, con un cuore dedicato a riflessioni morali tutt'altro che supponenti e scontate. Così assistiamo al dipanarsi di una vicenda che nasconde molti volti. Ci sono sezioni dall'ampio respiro, dedicato al conflitto che da lì a poco dilanierà il mondo, e quelle più personali, che svelano trame parallele (alcune meno attinenti di altre, ma in definitiva mai del tutto fuori contesto). Nucleus poggia su alcuni clichè di genere, ne ignora altri, rimescola le carte in tavola con una certa eleganza. Forse Clements a volte lascia un po' troppo le descrizioni di ambienti e stati d'animo alla sensibilità del lettore. È una scelta precisa, difendibilissima, ma in alcune avrei apprezzato se fosse stato meno "brit" e un po' più viscerale. Nell'insieme, però, la compostezza formale del romanzo restituisce bene tanto lo stile dell'autore quanto l'austerità degli anni che racconta. Il romanzo incastra eventi, punti di vista, spinge l'acceleratore sul dipanarsi della trama con una progressione costante e appagante. È per questo che Nucleus è uno di migliori thriller storici che abbia mai letto. Consigliatissimo. ★★ ★ ★ ☆ A cura di Abel Montero nota: L'edizione italiana, di La Corte Editore, è anche più attraente di quella originale. Una vera rarità. Complimenti ;) (Ora non fate scherzi, e portateci anche Nemesis!)
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LA TRAMA
«L’uomo ricerca la necessità, l’immediato piacere. Tenta di non scomparire e cercherà sempre di allontanare quell’oscuro tramonto che è la morte, con tutto ciò che è in suo potere. È dunque il potere, la forza di volontà, che diversifica ogni uomo. La debolezza è una viltà, è il tradimento della vita stessa.» "Tula, 4 settembre 1946. Rodion è un bambino di nazionalità russa che sopravvive a stento nella dura realtà dei campi di isterilimento nazista. La Germania ha vinto la Seconda Guerra Mondiale e, insieme ai suoi alleati, ha creato un regime fanatico e totalitario in tutto il mondo. Tredici anni dopo, Edmund è l'altra faccia della medaglia: un giovane tedesco vittima della folle propaganda nazista che cela oscuri retroscena, mascherandoli con nobili ideali, ai quali il ragazzo crede con assoluta fedeltà. Il desiderio di difendere la patria si concretizza presto in una chiamata alle armi e lì la lotta di Edmund Heyder si tramuta gradualmente in un percorso di dubbi e incertezze sulla validità di un pensiero che uccide l’umanità. Famiglia, amicizia, rispetto di sé e del prossimo, patriottismo, dignità, orgoglio e amore gravitano attorno a lui e alla verità che un sovietico rimane pur sempre un essere umano. Un romanzo senza alternative, né sconti, dove la crudeltà dell’uomo arriva a uccidere persino se stessa, in un crescendo di azioni e rivoluzioni. Non c’è vincitore dove c’è guerra e non c’è anima se a schiacciarla è l’idea che un uomo valga più di un altro, in ogni caso." IL LIBRO Rodion (2018, Delrai Edizioni) è un romanzo atipico, una vera sorpresa nel panorama narrativo italiano, soprattutto in quello fantastico. L'opera di Beatrice Simonetti è un racconto di formazione che affronta temi iportanti, dall'identità personale a quella politica, dalla crescita emotiva alla cosapevolezza del proprio ruolo nella società. E lo fa con determinazione, coraggio, senza rifuggire gli aspetti più crudeli, dolorosi degli atti raccontati e delle loro conseguenze sul breve e lungo termine.
Ancora più gradita è la constatazione che Simonetti abbia scelto di dare respiro a temi così importanti nella cornice di un genere poco conosciuto dalle nostre parti, ma di sicuro impatto. Rodion è un romanzo Ucronico. Propone infatti un quesito storico, e fornisce una risposta alternativa al reale dipanarsi dei fatti. In questo racconto, Simonetti si chiede cosa sarebbe successo se i Nazisti fossero usciti vittoriosi dal secondo conflitto mondiale e narra le conseguenze dello strapotere tedesco sul resto del mondo. Come già Philip K. Dick ne "La svastica sul sole" lo scenario in cui il romanzo si svolge è agghiacciante nella sua credibilità. Il Nazismo sconvolge i ritmi e le regole di ogni ceto sociale, impone ideologie e sitili di vita, si spinge fino alle più intime radici delle pulsioni umane e crea un mondo che sembra un incubo a occhi aperti. Ma dove Dick racconta il conflitto tra Germania, Giappone e USA, Simonetti sceglie di spostare il focus su ciò che resta della Russia e sull'oppressione che i suoi cittadini sperimentano, costretti a vivere in enormi città/fabbrica, ridotti a manodopera elementare, schiavizzati o trasformati in carne da macello, avanguardia bellica.
Così assistiamo all'avvicendarsi di punti di vista che fa da ossatura al racconto: conosciamo un bambino russo in fuga da una strage, un giovane tedesco che mette in dubbio i suoi ideali, un ufficiale nazista crudele e determinato, una madre dilaniata dai fantasmi del suo passato, una giovane divisa tra amore e voglia di costruire da sola il proprio futuro. Simonetti ha creato personaggi realistici, tormentati dal mond in cui vivono e dai conflitti che nascondono nel loro animo. È doloroso assistere ai loro percorsi di vita, ma l'autrice rimescola con eleganza le carte in tavola, e sceglie di non raccontare le vicissitudini in maniera prettamente lineare. Scopriamo così presente e passato di queste vite disperate in un gioco di incastri che ci svela poco a poco eventi passati (e motivazioni reali). Simonetti crea così colpi di scena efficaci e sovrappone livelli di lettura e priofondità, in un crescendo ammirevole.
La curiosità di scoprire il procedere degli eventi ci sponge a una lettura serrata, il ritmo narrativo raramente mostra il fianco a debolezze e il desiderio di collegare punti di vista, e vicissitudini presenti (o passate), non cala per tutta la durata dell'opera. Rodion è un romanzo molto piacevole da leggere, nonostante la durezza della realtà che racconta. Ma non è privo di difetti. Attraverso un lavoro di editing più incisivo, l'opera di Simonetti avrebbe potuto essere alleggerita e resa più scorrevole di aggettivi e avverbi. Una maggiore cura ai dialoghi li avrebbe resi meno didascalici avvicinandoli alla realtà. Così per come sono scritti, risultano il più delle volte artificiosi. Anche il dipanarsi della trama ha delle incertezze. Alcuni snodi cruciali degli eventi sono davvero poco plausibili e mettono alla prova la nostra sospensione dell'incredulità. Inoltre il finale appare privo del mordente che ha caratterizzato il resto del romanzo. Peccato. Voci di corridoio, in ogni caso, lasciano intendere alla possibilità che Rodion possa essere accompagnato, in futuro, da altri romanzi che ne continuino/espandano concept di base e crescita dei personaggi. Noi ce lo auguriamo, perché le potenzialità di Simonetti sono evidenti e lasciano ben sperare. In definitiva, Rodion merita una lettura. È un romanzo duro, nerissimo e potente. Ps: L'edizione cartacea di Delrai è bellissima, curata ed elegante. Ha fatto la gioia degli utenti di Instagram. Da applausi! CONTAGION è un romanzo scritto con forte consapevolezza del medium.
Erin Bowman ci racconta una storia semplice, a tratti prevedibile, ma compie anche delle scelte intelligenti per creare tensione e alcuni jump scares ben congegnati. Il risultato è un romanzo progettato ed eseguito con grande eleganza, uno in cui è facile immergersi, un page turner con molti meriti e un paio di perdonabili debolezze. Ma procediamo con ordine, ecco la trama: "Dopo aver ricevuto una chiamata di soccorso da una squadra di esperti su un pianeta lontano, un equipaggio ridotto viene inviato nello spazio profondo per eseguire una missione standard di ricerca e soccorso. Quando arrivano, trovano isolo i resti del progetto, compresi i cadaveri dei suoi membri. Mentre cercano di capire le cause dello sterminio, scoprono che alcune cose dovrebbero restare sepolte - e che alcuni mostri sono a un passo dal risveglio." Grazie a un worldbuilding credibile e stratificato, senza essere particolarmente complesso, la storia dell'improvvisata squadra di soccorso inviata a rispondere a una chiamata d'aiuto su un pianeta remoto è allo stesso tempo familiare e minacciosa. Il futuro immaginato da Erin Bowman ricorda la fantascienza utilitaristica dei primi Alien, mostra forti suggestioni di classici come La Cosa e, perché no, The X-Files. I due sistemi solari che fanno da teatro alle vicende raccontate in questo racconto vivono uno status di quieto conflitto d'interessi. In estrema semplificazione, uno dei due sistemi è antico e culturalmente avanzato, l'altro è giovane, ricchissimo di materie prime e piuttusto stufo degli strascihi della prima colonizzazione. La pace è solo superficiale, e si sentono ancora le eco di un conflitto pregresso, che ha creato ingenti perdite per ambedue le fazioni. In sottofondo alle pagine scritte da Bowman, è possibile percepire un tumulto che minaccia di innescare una nuova guerra, ancora più sanguinaria. Questo sottotesto politico e culturale infuenza in maniera piuttosto credibile e profonda il comportamento dei protagonisti del racconto. In effetti, questa consequenzialità è uno dei grandi punti di forza del romanzo. Il cast è composto da un gruppo eterogeneo, con membri di età, culture ed estrazioni diverse. Ognuno di essi mostra pulsioni realistiche e si comporta coerentemente con esse. Contagion è un romanzo corale. I punti di vista dei vari personaggi si alternano allo scopo di fornire (o sottrarre) informazioni al lettore, creare atmosfera, tenere alto il ritmo. In una scelta piuttosto controcorrente, di questi tempi, Bowman decide di raccontare la visione delle cose del cast e di mettere in scena avvenimenti che spesso avvengono in contemporanea. Per i neofiti potrebbe essere difficile approciare una struttura simile, che li costringerà a rileggere alcuni tratti per non perdere traccia della timeline. Per i lettori più smaliziati sarà una vera delizia. Con un po' di attenzione, Contagion ci rivela una narrazione vicinissima ai serial tv moderni, coinvolgente, veloce e diretta. Queste scelte stilistiche e narrative hanno anche dei riscolti discutibili in quanto a caratterizzaizone dei personaggi. L'abbondanza di punti di vista riduce lo screentime dedicato ad ognuni di essi. Non si può certo dire che i protagonisti di Contagion siano poco definiti o superficiali. Allo stesso tempo, il veloce succedersi degli eventi impedisce ai lettori di nutrire per loro un attaccamento sincero, viscerale. Inoltre tutti, i membri del cast, tutti, vivono e agiscono in un'area grigia e che impedisce di stabilire fazioni precise. Non ci sono buoni o cattivi, in Contagion. Solo gente decisa a sopravvivere. La differenza, semmai, è data dalla quantità di sacrifici che ogni personaggio è disposto a compiere. E dal modo in cui affronta le conseguenze delle proprie scelte. Il racconto acquisisce presto tono scuri e angoscianti, così come la prosa di Bowman si fa più asciutta e incisiva. Non c'è spazio per sfumature barocche o ricerche stilistiche che avrebbero appesantito la narrazione. In Contagion, l'orizzonte è buio, freddo, minaccioso. Pur essendo un romanzo YA, Contagion si tiene alla larga da alcuni tropes abusati (instalove, triangoli sentimentali in primis) e si concede alcune riflessioni piuttosto coerenti sul valore dell'istruzione, dell'iniziativa personale e dell'ambizione. Il più grande pregio di questo romanzo, forse, è la scelta dell'autrice di trattare i suo pubblico di riferimento con rispetto. Erin Bowman fa affidamento sulle capacità di intuizione dei lettori. Accenna, suggerisce, limita le spiegazioni. Fa leva sulla viscerale paura dell'ignoto che ci accomuna tutti e usa quei timori per spingere il suo racconto verso uno dei più dolorosi cliffhanger degli ultimi anni. Contagion non ha una vera fine. La vera conclusione arriva quest'estate: In definitiva, Contagion merita una lettura. È un romanzo assemblato con cura, racconta un futuro che forse non vorremmo dover vivere di persona, e che purtroppo risulta quantomai credibile. Ci fa sentire piccoli, indifesi dinnanzi alle immensità dello spazio e ci ricorda che, se qualcosa dovesse andare storto, l'aiuto è lontano anni luce. A cura di Abel Montero ANNABELLE Lina Bengtsdotter - 2019 - DeaPlaneta LA TRAMA "Avere diciassette anni. Rubare il vestito celeste alla mamma per andare a una festa. E poi, sparire nel nulla. Annabelle svanisce così, senza un motivo e in apparenza senza lasciare traccia. La famiglia, gli amici, i vicini: nessuno nella piccola comunità di Gullspång, sprofondata tra le fitte foreste di Svezia, sembra in grado di fornire elementi su quanto accaduto quel venerdì notte. Al padre, che invano esce a cercarla per la campagna, e alla madre, consumata dall’angoscia e dal senso di colpa, non resta che affidarsi agli agenti della Polizia Criminale che da Stoccolma giungono a prendere in mano le indagini. Per l’agente Charline Lager – per tutti Charlie –, però, scoprire chi era Annabelle e cosa le è successo non significa solo affrontare un caso tra i più delicati e complessi di sempre. Perché un passato come il suo non si cancella. E perché Gullspång – le casette uguali, le acque fredde del lago, l’emporio abbandonato e i segreti che nasconde – non è un posto qualunque, ma il suo posto, quello che si porta scolpito dentro e dal quale fuggire è semplicemente impossibile." IL LIBRO Annabelle (DeaPlaneta 2019) è l'esordio di Lina Bengtsdotter. Un romanzo che ha riscosso grande successo in patria, tanto da rientrare nella rosa dei finalisti come Miglior Romanzo in Svezia, e premiato come Miglior Esordio dell’anno dalla giuria del Crimetime Specsaver Award.
E non è difficile capire il perché di un tale successo di critica (e vendite, tanto che la cosa all'acquisizione dei diritti di traduzione è già scattata in più di venti paesi). Annabelle giova di una prosa asciutta e agile, tanto essenziale da sembrare scarna. Leggendo la storia della scomparsa di Annabelle, adolescente affascinante e anticonformista, si capisce presto quanto quelle impressioni iniziali siano sbagliate. A dire il vero pare che tutto, in questo romanzo, sia stato orchestrato per fuorviare il lettore proprio mentre lo si attrae e lo si spinge a proseguire la lettura. Lina Bengtsdotter ha creato un meccanismo narrativo che ticchetta come un ordigno pronto a esplodere, svela verità a ritmo cadenzato, innalza veli e getta ombre minacciose dove eravamo convinti di aver scorto la luce. Così scopriamo che Annabelle, pur essendo motore della narrazione, oggetto del desiderio, è tutt'altro che protagonista, in questo romanzo. E forse non lo è nemmeno il personaggio che per più tempo resta messo a fuoco dalla lente del racconto: quella Charlene “Charlie”, poliziotta di città costretta a tornare alla piccola comunità rurale che aveva abbandonato da piccola, in circostanze tragiche e nuvolose. Perché sì, l'ossatura del romanzo sarà pure la ricerca della scomparsa Annabelle, ma non è dal dipanarsi delle indagini che avremo le vere soddisfazioni, in quanto lettori. La Bengtsdotter sceglie di manipolare il nostro punto di vista, e la quantità di informazioni di cui entreremo in possesso, attraverso un paio di artifici che dapprima possono far storcere il naso, ma con cui si familiarizza abbastanza velocemente. Succede spesso, ad esempio, che Lina Bengtsdotter trascriva solo le parole pronunciate dai personaggi con cui Charlie interagisce, ma si limiti a riassumere ciò che lei dice, senza darle davvero voce. È una scelta che suona a mezza via tra sintesi e bavaglio. All'inizio è spiazzante. Poi diventa più evidente che l'autrice abbia scelto questo percorso per dilatare la prospettiva di Charlie, costringendoci a leggere in quei dialoghi sintetizzati anche la visione del mondo della poliziotta. Una visione delle mondo di un cinismo devastante. Perché Charlie torna al paesino in cui è cresciuta con la morte nel cuore, perseguitata dagli spettri di un passato che era convinta di aver sotterrato. Man mano che Charlie contatta amici e parenti di Annabelle, la sua percezione di quel posto si mescola ai ricordi d'infanzia. Con essi riemergono traumi, paure, pericoli che sembrano lottare per non annegare nel passato. In parallelo all'indagine, Bengtsdotter ci permette anche di sbirciare la prospettiva di Annabelle stessa, nelle ore immediatamente precedenti alla scomparsa. La vediamo interagire con la sua famiglia disfunzionale, con amicizie prive di solidità e perseguire l'amore di un uomo che non la ricambia. Come da manuale. Ci chiediamo se tra le persone con cui parla ci sia qualcuno che sappia che fine a fatto, se sia stata rapita, o se uno di loro sarà addirittura il suo assassino. I capitoli che raccontano Annabelle da vicino sono corti, scanditi da frasi brevissime e impregnati di un nichilismo che fa male, molto male. Si faranno più frequenti con l'avvicinarsi dell'epilogo, e saranno sempre più dolorosi. A complicare il quadro delle indagini, che a dire il vero scorrono in maniera piuttosto lineare, è una ulteriore prospettiva che inframezza il procedere dei capitoli. L'autrice sceglie di raccontarci l'amicizia tra due bambine sole, bisognose di affetto e attenzioni, alla ricerca di se stesse e in fuga da un mondo che capiscono fin troppo bene, data la loro giovane età. Comprendere come e perché questa ulteriore prospettiva sia connessa ad Annabelle è un mistero forse ancora più grande della sparizione stessa. La risposta sarà agghiacciante. Il romanzo mette in mostra una provincia svedese contemporanea e inusuale, affogata in un'estate che sembra voler soffocare protagonisti e comprimari. La Svezia che siamo abituati a leggere, non era mai stata così calda. Charlie boccheggia, si aggira nella cittadina in cui è cresciuta, cerca risposte e tenta di separarsi da pagine scomode ed errori di cui si pente costantemente. È un personaggio stratificato e complesso, anche se non molto originale. A voler essere puntigliosi, nella sua caratterizzazione c'è una sola, enorme falla. Perché Cherlie dovrebbe essere un'investigatrice prodigio, una vera e propria punta di diamante della polizia di Stoccolma. Ma in questo romanzo la vediamo, per lo più, porre domande di circostanza e prendere decisioni discutibili, alcune addirittura stupide. Sarà un genio dell'investigazione svedese, ma a noi è sembrata una grandissima ubriacona. Ironica, anche simpatica a voler ben vedere, ma tutt'altro che una cima. Ed è questa la più grande falla del romanzo. A due terzi del conteggio di pagine ci si rende conto che l'indagine sul destino di Annabelle non è il vero fulcro della narrazione. Lo è invece la ricerca sulle connessioni che la scomparsa della ragazza potrebbe avere con il passato del paesino, e forse quei bei giorni andati stanno alitando sul presente di altri personaggi molto più prominenti nella contemporaneità del romanzo. E quando vediamo che la parte investigativa si mette in panchina, lasciando il primo piano a ricerche di tipo diverso, da lettori siamo costretti a prendere una decisione. Dobbiamo chiederci se vogliamo intendere Annabelle come thriller o come indagine su alcuni aspetti della natura umana. Perché un quanto thriller in senso stretto, il romanzo di Bengtsdotter è quantomeno debole. È troppo lineare, molti dei colpi di scena sono telefonatissimi. Ma come racconto generazionale, messa in scena delle debolezze e degli orrori che gli adolescenti del nostro mondo sono costretti ad osservare... bé, sì, visto così, Annabelle è fenomenale. Scansiona ipocrisie e meschinità di troppi genitori, falcia le gambe a sogni ed egoismi di molti figli. Annabelle è un romanzo dall'anima bifronte, che nasconde molto e risponde a interrogativi che non sapevamo di doverci porre. Ma pretende una presa di posizione. Come opera prima, è impressionate, e lascia presagire sviluppi caratteriali enormi. Merita una lettura attenta, al netto delle debolezze citate, e lascia ben sperare per l'autrice che Bengtsdotter sarà. ARMADA Ernest Cline - Dea Planeta Libri - 2018 LA TRAMA “Zack Lightman è un sognatore. Sogna un mondo simile ai film di fantascienza e ai videogiochi che da sempre sono la sua più grande passione. Fantastica del cataclismico evento che un giorno giungerà a frantumare il monotono tran tran della sua esistenza senza qualità. Dopotutto, sognare non ha mai fatto male a nessuno, specie quando il mondo reale si incarica di ricordarti a ogni passo quanto improbabile sia, per un ragazzo smanettone e pieno di rabbia, ritrovarsi a vestire i panni del Prescelto, dell’Eroe Destinato a Salvare l’Umanità. Ma poi Zack vede il disco volante. Quel che è peggio, la strana navicella pare uscita direttamente dal videogioco su cui Zack trascorre le notti: il popolarissimo simulatore di volo Armada in cui i giocatori sono chiamati a difendere la Terra da una devastante invasione aliena. No, Zack non ha perso la testa: per quanto assurdo possa sembrare, quello che vede è pura realtà, e le sue capacità di gamer con pochi confronti si riveleranno presto essenziali nella corsa globale per scongiurare la fine del mondo. Finalmente, l’epica occasione che aspettava è arrivata. Ma in mezzo al terrore e all’euforia della sua missione, Zack non può fare a meno di ripensare alle storie fantascientifiche che ha amato di più. E di chiedersi se lo scenario in cui si ritrova proiettato non nasconda una realtà persino più inquietante e inattesa di quello che appare. Con Armada Ernest Cline gioca con le convenzioni della fantascienza per sublimarle e sovvertirle allo stesso tempo. Confezionando un thriller incalzante, intriso di quel gusto enciclopedico per la cultura pop che ha contribuito a fare di Ready Player One un fenomeno mondiale.” IL LIBRO Il numero due è sempre il più insidioso.
Il secondo disco, il secondo bacio, il secondo figlio. E sì, anche il secondo libro. Soprattutto quando il primo è stato un successo planetario, capace di inserirsi poco a poco nel vocabolario della nostra cultura pop. Ernest Cline deve aver trascorso più di una notte insonne mentre scriveva Armada (Dea Planeta Libri 2018). Il suo primo romanzo, Ready Player One, non ha più bisogno di presentazioni. Era un calderone furbetto di citazioni e colpi al bassoventre della nostalgia di ogni quarantenne, una sequela di avventure che scavavano nei ricordi e nelle atmosfere degli anni '80. Cline aveva cavalcato un'intuizione e l'aveva trasformata in esecuzione ed eccesso, talvolta anche un po' becero, volto a strappare sorrisi, sospiri sognanti, e qualche rimpianto. Insomma, era un romanzo con un paio di grossi meriti e tanti, tanti demeriti, a cui alla fine si voleva anche bene, o che si amava odiare. La trasposizione cinematografica di Spielberg, che era riuscita addirittura a limare alcune incertezze dell'opera originale, ha fatto il resto. Come si fa a capitalizzare quel tipo di successo e allo stesso tempo cementare una carriera da autore che tutto vuole fuorché trasformarsi in una meteora? Si scrive un secondo libro, ovviamente. Quel secondo libro è Armada. C'erano diversi modi per affrontare l'impresa titanica di sopravvivere a Ready Player One. Il più sicuro sarebbe stato il classico more of the same: scrivere una sorta di seguito, immergere, se possibile, ancora di più le mani nella cultura nerd che di cui quell'opera si cibava e di cui si è fatta alfiere. O si poteva puntare sull'antitesi estrema, qualcosa di completamente originale, forse anche sperimentale, correndo però il rischio di allontanare l'enorme fan base acquisita nel tempo. Cline ha scelto la via del mezzo. Armada non è un sequel, esattamente come non è sperimentale e innovativo. È piuttosto un romanzo che sceglie di seguire solo alcune delle tracce che Cline stesso ha lasciato, e allo stesso tempo si immerge in scenari più moderni e un'ambientazione finalmente contemporanea. Il futuro tristissimo e ossessionato dagli anni '80 di RPO lascia il posto ai nostri giorni, agli smartphone e alle tecnologie emergenti nell'universo dei videogiochi, realtà virtuale in primis. Cline si rivolge a tutti quel lettori che hanno speso decisamente troppo tempo su Wichipedia cercando di cogliere le citazioni di RPO, e li attrae puntando il dito a nomi che possono riconoscere con più semplicità. Armada è davvero pensato per quella larghissima fetta di lettori che sono anche gamers, oltre che estimatori di serie tv e cinema. ROP affermava di esserlo, ma era una presa dei fondelli che si sbugiardava da sola molto in fretta. Ne consegue un worldbuilding molto più agile, che si libera dalla mole di infodump che affossava il lavoro precedente di Cline. In Armada, bastano un paio di frasi e di descrizioni per sentirsi immediatamente a proprio agio. Non ci sono i muri di testo che ci ammorbano con spiegoni infiniti. Il contesto è chiaro fin da subito e lascia spazio all'azione, che è spedita, efficace, intrigante già dalle prime pagine. Buona parte del merito è da attribuire allo stile di scrittura di Cline. C'è la giusta dose di ironia a sorregger farsi dalla metratura perfetta, ci sono giochi di parole che strappano sorrisi senza sembrare forzati (nella maggior parte dei casi) e non si ha l'impressione che le citazioni debbano essere ficcate ogni due paragrafi a forza. Armada è scritto con maggiore consapevolezza del testo del predecessore. Per una volta, un autore mostra crescita stilistica. Amen. Paradossalmente, la maggiore accessibilità del romanzo ha finito per alienare i nerd duri, puri ed estremisti, che lo avrebbero voluto più pesante, forse. Che noia, certi lettori. Perché è impossibile non affezionarsi a quella testa calda di Zack, un post adolescente che non riesce a fare i conti con la perdita del padre, dalla ci figura è ossessionato e dalla cui assenza è dilaniato. Si empatizza all'istante con i suoi colpi di testa e la sua ironia caustica. Forse, si rimpiange solo di non poter spendere più tempo con lui per conoscerlo davvero, visto che la trama corre via verso la risoluzione, e si dipana, in una manciata d'ore. Una trama ruota attorno a dei meccanismi bene oliati e conosciutissimi. Armada, sotto questo punto di vista, è pura esecuzione, e c'è pochissima esecuzione. Zack è dapprima vittima degli eventi, poi parte attiva nella risoluzione del conflitto che prende gran parte della narrazione. È sveglio, si pone le stesse domande che ci porremmo noi e non abbiamo mai l'impressione di assistere impotenti alle gesta di eroi imbecilli che vorremmo prendere a schiaffi per la loro stupidità. Se è vero che molti degli snodi narrativi, e dei colpi di scena, possono essere anticipati con facilità, è anche palese che la parte finale del romanzo punta a sovvertire, gioendone, molti topos e cliché abusati della fantascienza classica. Pur non essendo efficacissime, le ultime cinquanta pagine di Armada aprono la porta a scenari futuri enormemente interessanti. Se Cline decidesse di scrivere dei seguiti di Armada, avremmo a che fare con delle potenziali storyline assolutamente esplosive. Le vedremo mai? Possiamo aspettare e sperare. Alla fine delle poco più di quattrocento pagine che Armada conta, ce n'è abbastanza per definirsi affascinati e divertiti. Alcuni avrebbero voluto di più. Alcuni avrebbero voluto di meno. Altri pretendevano una fotocopia agli steroidi di RPO. Invece Armada è un romanzo che vive di vita propria, che può divertire moltissimo, soprattutto se lo si affronta senza sciocche pretese. Merita una possibilità, e regala soddisfazioni piuttosto solide. Ps: A leggere i pareri dei certa critica, Armada sarebbe un gran fiasco. Sono in gran parte scemenze. Alcune opinioni al vetriolo sono uno specchio chiarissimo di quanto sia facile inaridirsi e cedere al passare del tempo con poca, pochissima grazia. FIDANZATI DELL'INVERNO Christelle Dabos - 2018 - Edizioni E/O LA TRAMA "In un universo composto da ventuno arche, tante quanti sono i pianeti che orbitano intorno a quella che fu la Terra, vive Ofelia. Originaria dell'arca "Anima", è una ragazza timida, goffa e un po' miope ma con due doni particolari: può attraversare gli specchi e leggere il passato degli oggetti. Lavora come curatrice di un museo finché le Decane della città decidono di darla in sposa al nobile Thorn, della potente famiglia dei Draghi. Questo significa trasferirsi su un'altra arca, "Polo", molto più fredda e inospitale di Anima, abitata da bestie giganti e famiglie sempre in lotta tra loro. Ma per quale scopo è stata scelta proprio lei? Tra oggetti capricciosi, illusioni ottiche, mondi galleggianti e lotte di potere, Ofelia scoprirà di essere la chiave fondamentale di un enigma da cui potrebbe dipendere il destino del suo mondo." IL LIBRO Fidanzati dell'inverno non se lo aspettava nessuno.
Davvero, non ci avremmo scommesso due centesimi. Christelle Dabos era la rispettabilissima signora nessuno, soprattutto dalle nostre parti. Il mercato italiano, da sempre difficile da scalare per opere di genere, sembrava più che mai refrattario a un romanzo così inusuale, in bilico tra fantasy e steampunk. Per di più, Edizioni e/o non vanta certo un catalogo consolidato in materia, e non ha potuto puntare su nomi di richiamo per avviare un circolo virtuoso di passaparola e riconoscibilità. Fidanzati dell'inverno sembrava una scommessa impossibile da vincere. Eppure. Eppure è diventato, nel giro di pochissimi mesi, uno dei libri più fotografati, discussi, e in buona sostanza letti, dell'anno passato. Talmente di successo da spingere Edizioni e/o ad annunciare in gran fretta la pubblicazione del seguito (Gli scomparsi di Chiardiluna), anticipandone il rilascio al 9 gennaio 2019 (anche se in questi giorni è ancora impossibile da prenotare, il libro pare Scomparso, senza giochi di parole, dai cataloghi delle librerie fisiche ed è persino irreperibile in cartaceo su Amazon. Mistero!) Un successo tanto inatteso quanto giustificato, una buona volta, dall'inarrivabile qualità del testo stesso. Amici miei, non ce n'è per nessuno. Si può disquisire all'infinito su certe scelte, gusti, frizzi, lazzi, ammennincoli narrativi vari e sfumature più o meno non dette, ma la verità è una sola: Fidanzati dell'inverno è scritto come dio comanda. È bello, molto bello. Talmente bello e affascinante da lasciare inebetiti. Tanto che è difficile essere obbiettivi alla fine della lettura. Trovare le parole giuste per raccontarlo, e recensirlo, è una sfida ardua. Christelle Dabos racconta la storia di Ofelia con una sensibilità che non ci appartiene, a cui non siamo abituati. Tutto, dalla scelta delle parole alla costruzione e metratura delle frasi, dalla lunghezza dei periodi all'impostazione dei capitoli, è così maledettamente francese da lasciare interdetti. Ma è uno scoglio che si supera poco a poco. Fidanzati dell'inverno è un fuoco che brucia piano, pianissimo, e arde davvero solo dopo le prime duecento, forse anche duecentocinquanta pagine. È un'attesa troppo lunga? Forse. Ma lo sforzo è ripagato. Eccome. Perché siamo talmente abituati alle cifre stilistiche della narrazione letteraria d'oltreoceano da sentirci spaesati quando ne affrontiamo di europee. E non dovrebbe essere così, ma tant'è. Questo romanzo va affrontato con un atteggiamento aperto, il più possibile libero da preconcetti e aspettative. Non foss'altro per il gusto di assaggiare gusti e retrogusti inconsueti. Difficilmente troverete una prosa più equilibrata fra le uscite di genere del 2018. Acuta, raffinata e floreale senza le derive pretenziose di certi altri nomi ben più blasonati che hanno ammorbato le classifiche dei mesi scorsi, la narrazione di Dabos si rivela, poco a poco, una gioia per gli occhi e per le nostre anime da lettori incalliti. Il merito è anche dell'originalità dell'universo creato da Dabos. Un mondo che è una rappresentazione tanto pragmatica quanto metalinguistica delle conseguenze più amare delle derive più sfrenate dell'ego umano. Ofelia viaggia attraverso ciò che resta della Terra, letteralmente squarciata da catastrofi o conflitti che non ci è dato conoscere nel dettaglio, trasformata in una flotta di enormi isole che fluttuano attorno ai ricordi di un pianeta che fu. Dabos dipinge immagini di una tristezza devastante, raccontando una devastazione tanto profonda da diventare pura bellezza. Il mondo di Ofelia vive una realtà in cui il nostro presente è leggenda, dove delle nostre vite restano sono solo racconti e forse domande appena sussurrate. La protagonista si pone interrogativi comuni a tutti i suoi contemporanei. È presa dalle routine del procedere placido della sua esistenza, e non presta a quei quesiti più che un'alzata di sopracciglia e attenzioni a malapena superficiali. Ofelia trascorre le sue giornate ad occuparsi gli oggetti che il suo mestiere le impone di curare, e sarebbe più che felice di sprofondare nella sua misantropia, più o meno per sempre. Ma non durerà. Ofelia dovrà accettare un matrimonio d'interesse, e affrontare un viaggio che si farà presto irto di pericoli. È la solita storia trita e ritrita? No, no, assolutamente no. La premessa è familiare. L'esecuzione no. Attraverso il viaggio di Ofelia, con i nostri occhi nei suoi, scopriamo le infinite sfumature di un mondo che ha abbracciato nuove regole, forgiato nuove consuetudini e definito un oceano volante di leggi, dette e non, a cui ottemperare senza discutere. Ofelia ci racconta della sua (ri)scoperta dell'universo in cui vive, a partire dalla mitologia utilitaristica che lo sorregge, per spaziare nella rigida etichetta a cui deve sottostare in vista di un matrimonio che non vuole, e poi giungere alle smaccate vette di superficialità di una classe pseudonobile che vuole masticarla viva. Il viaggio di Ofelia non è solo materiale. È la sua crescita interiore, che la porta a trasformarsi come persona, pur restando in ultima analisi coerente con sé stessa, ad affascinare più di tutto. Descrivere un personaggio così compatto eppure tanto stratificato non è facile. Dabos ci riesce, ci regala un romanzo che è narrazione, scoperta, riflessione e fascino puro. Privo di pretenziosità, si guarda bene di prometterci ciò che non potrà offrirci, ci prende per mano lentamente, poi ci scaraventa giù per una scarpata di avventure che aumentano di ritmo costantemente. E ci lasciano senza fiato. Fidanzati dell'inverno è il meglio del fantasy (per ragazzi e non) del 2018. Regalatevi un po' di gioia letteraria. Leggetelo. nota: La traduzione di A. Bracci Testasecca è una delizia. Ce ne vorrebbero, di traduttori così capaci. CRYSTALLUM - SOGNI PERDUTI Giovanni Cacioppo - KDP - 2018 LA TRAMA "A detta della signora Flint dovevano trovarsi un lavoretto estivo. E ufficialmente era proprio questa la loro intenzione. Come se Aran e Cora avessero potuto anche solo immaginare di rubare una collana, coinvolgere il povero Fez e attraversare il continente. Tutto questo per assistere al più grande evento degli ultimi anni.Ma loro avevano deciso di mettere la testa a posto, lo avevano detto chiaramente e soltanto i malpensanti avrebbero potuto supporre il contrario. I malpensanti... ed Elidana. Perché lei ha sempre qualcosa da ridire. Preparati a vivere un viaggio fantastico, tra guerrieri, città fortificate e pietre ricolme di luce." IL LIBRO Crystallum è il risultato della passione e del talento di un giovane autore italiano che guarda al fantasy internazionale senza complessi d'inferiorità.
È scritto con un grande senso del ritmo, mette in scena splendide sequenzee d'azione e le alterna momenti intimisti. Narrazioni di vita quotidiana si alternano a sogni troppo belli per essere veri (salvo poi scoprire che sono realizzabili e nascondono grossi rischi, ovviamente). La storia del gruppo di ragazzi che parte per un viaggio estivo che promette divertimento escoperte è di quelle con cui è impossibile non sentirsi a casa. Cacioppo usa questo terreno comune per definire caratterei, stabilire relazioni, tratteggiare i limiti di una mondo di provincia che si sgretol di fornte allo splendore della città e della vita mondana. Noi lettori percorriamo le stesse strade, ci ubriachiamo degli stessi colori, respiriamo lo stesso stupore. Prima di rendercene conto, siamo immersi nell'avventura fino al collo. In certi momenti, ci gira la testa al solo pensiero di quanto è successo nelle prime 200 pagine, tremiamo al pensiero di ciò che accadrà nel resto. E non si rimane delusi. "Crystallum, sogni perduti" è un romanzo di formazione e avventura che lascia il segno per la perizia con cui è scritto e per l'efficacia della narrazione che regala. È un risultato raro, per un esordiente. Ce n'è abbastanza per ridurre alla vergogna autori nostrani che vantano pubblicazioni ben più blasonate. IL SOGNATORE è arrivato in Italia (grazie a Fazi Editore), a quasi un anno dalla prima pubblicazione americana. Il romanzo ha praticamente spaccato Instagram grazie all'azzeccata copertina della versione UK, dominata da quella falena dorata, sovrastante un etereo blu, tanto profondo quanto evocativo. A tutt'oggi, assieme alla trilogia degli Illuminae Files e alla duologia di Six of Crows, l'iterazione britannica de IL SOGNATORE (Strage the Dreamer), resta probabilmente una delle più fotografate della storia del social network americano.
Non è esagerato affermare che la “confezione dell'opera” si sia sobbarcata la quasi totalità dell'appeal che ha generato, praticamente da subito, sui lettori di mezzo mondo. Laini Tailor, l'autrice, aveva già alle spalle una carriera rispettabile ma tutt'altro che cementata. Con IL SOGNATORE, le si sono spalancate le porte dell'amore incondizionato di una folla di lettori adoranti. La breve descrizione della trama, d'altra parte, è stata capace di solleticare l'attenzione di chiunque abbia amato, anche solo un po', la lettura e la letteratura: “È il sogno a scegliere il sognatore, e non il contrario: Lazlo Strange ne è sicuro, ma è anche assolutamente certo che il suo sogno sia destinato a non avverarsi mai. Orfano, allevato da monaci austeri che hanno cercato in tutti i modi di estirpare dalla sua mente il germe della fantasia, il piccolo Lazlo sembra destinato a un’esistenza anonima. Eppure il bambino rimane affascinato dai racconti confusi di un monaco anziano, racconti che parlano della città perduta di Pianto, caduta nell’oblio da duecento anni: ma quale evento inimmaginabile e terribile ha cancellato questo luogo mitico dalla memoria del mondo? I segreti della città leggendaria si trasformano per Lazlo in un’ossessione. Una volta diventato bibliotecario, il ragazzo alimenterà la sua sete di conoscenza con le storie contenute nei libri dimenticati della Grande Biblioteca, pur sapendo che il suo sogno più grande, ossia vedere la misteriosa Pianto con i propri occhi, rimarrà irrealizzato. Ma quando un eroe straniero, chiamato il Massacratore degli Dèi, e la sua delegazione di guerrieri si presentano alla biblioteca, per Strange il Sognatore si delinea l’opportunità di vivere un’avventura dalle premesse straordinarie. Il sognatore, primo capitolo della nuova duologia di Laini Taylor, già autrice dell’acclamata trilogia La chimera di Praga, non fa che confermarne il grande talento narrativo. In un mondo fantastico e allo stesso tempo perfettamente credibile, abitato da personaggi indimenticabili, il lettore è chiamato a seguire il sogno di Lazlo Strange, perdendosi con lui tra realtà e magia, amore e violenza, terrore e meraviglia.” Gli ingredienti per il successo ci sono tutti. Un protagonista con cui si entra subito in armonia, buono in ogni sfaccettatura del suo carattere e innamorato dei libri. Il sogno di esplorare una città mitica e apparentemente dimenticata da tutti. E la scrittura della Taylor. Basta una velocissima ricerca su Youtube per essere sommersi da recensioni entusiastiche che elogiano prima di tutto la prosa affascinante dell'autrice (la chiamano “flowery”, quindi fiorita, ma potrebbe stare anche per “ricercata” o “barocca). E sapete una cosa? Tutti quei recensori hanno ragione. Perché la prosa fiorita di Laini Taylor non si può ignorare. È efficace, magnetica e personalissima. È a tutti gli effetti il più monumentale punto di forza del romanzo. Così come la sua più grande sventura. Perché la storia che IL SOGNATORE racconta, purtroppo, lascia parecchio a desiderare. A scanso di equivoci, chiariamo un fattore determinante: leggere IL SOGNATORE è stato piacere. Dal punto di vista della pura prosa, è quanto di meglio potrete leggere nel 2018 (e forse anche nel 2019, almeno fino all'arrivo della seconda parte della duologia, LA MUSA DEGLI INCUBI) Ma... La Taylor ha deciso di strutturare il romanzo con degli obbiettivi che sembrano puntare decisi in una direzione specifica, almeno per la prima metà del tomo, salvo poi sovvertirli, e in maniera quasi violenta. Le prime due o trecento pagine creano, con grande successo, aspettativa fascino. Conosciamo Lazlo Strange, impariamo a comprendere le motivazioni più sottili del suo agire e la natura della sua indole. Ci innamoriamo della sua bontà infinita e ci rispecchiamo nella sua capacità di sognare. Laini Taylor è capace di farci versare lacrime di empatia e commozione, mentre lo osserviamo crescere e combattere per ciò che ritiene importate, eppure restare una persona generosa, altruista e gentile. Un successo. Quando sembra che i suoi sogni si avverino, quando il viaggio inizia e la scoperta è dietro l'angolo... BOOM!!! La love story più melense del secolo. Pur raccontando personaggi bellissimi, descritti magnificamente, la Taylor ha deciso di concentrarsi per troppe, troppe pagine su una storia d'attrazione e primi baci, che seppur suggestiva e a suo modo affascinante, che nessuno aveva chiesto e di cui nessuno aveva bisogno. Laini Taylor ci aveva promesso che avremmo esplorato una città leggendaria. Volevamo tutti conoscere Pianto, imparare ad amarla, oppure chissà scoprire che fosse in realtà un inferno da temere, capace di popolare i nostri incubi all'infinito E invece no. Non è quello il vero fulcro, purtroppo, del rapporto. Al termine delle cinquecento e passa pagine che il libro conta, si è presi da emozioni contrastanti. C'è l'ammirazione per la portata delle capacità narrative della Taylor, che sono sicuro faranno a loro modo scuola, e il bellissimo ricordo di Lazlo per com'era quando lo abbiamo conosciuto e amato, prima che si trasformasse in un giovane innamorato e poi... in qualcos'altro. Ma c'è anche la sensazione di essere stati amabilmente raggirati. Volevo altro, da IL SOGNATORE. E non si trattava di pretese, quanto più di desideri nati da promesse che poi sono rimaste dimenticate. A cura di Abel Montero FUOCO INVISIBILEDeaPlaneta - 2018 LA TRAMA Al Trinity College di Dublino, il giovane e brillante «esperto di parole» David Salas ha appena finito il dottorato. Non ha programmi per l’estate, deve sgombrare l’ufficio dalle carte accumulate in lunghi anni di studio e, come se non bastasse, non vede di buon occhio le prossime nozze della madre con l’insulso fidanzato, di molti anni più giovane. Così, quando la sua responsabile gli propone di partire alla volta di Madrid in cerca di uno dei testi più rari e preziosi del Siglo de Oro, David accetta al volo l’occasione di cambiare aria e tornare nella terra dei suoi avi. Ma appena arrivato a Madrid si ritrova risucchiato nell’orbita dapprima di Paula, affascinante storica dell’arte, e poi di Victoria, vecchia amica di famiglia che dietro la facciata di rispettata scrittrice coltiva arcane e pericolose passioni. Ben presto, quello che per David doveva essere un incrocio tra una vacanza e una spedizione di lavoro si trasforma in un’incredibile e rischiosa avventura fra pregiate collezioni d’arte, misteriose scritte scolpite nella pietra e chiese romaniche sperdute nei Pirenei. Sarà un’indagine senza esclusione di colpi quella che porterà David a far luce sulla morte di un allievo di Victoria. E, forse, ad apprendere la verità sulla sorte del padre, scomparso molti anni prima in circostanze mai chiarite IL LIBRO “Fuoco invisibile” di Javier Sierra, (DeaPlaneta, 2018) arriva in Italia sospinto dal vento di un richiamo mediatico di tutto rispetto. Con questo romanzo, l'autore si è aggiudicato il prestigioso Premio Planeta e ha cementato una carriera già costellata di successi in patria, oltre che riconoscimenti anche nei difficili mercati d'oltreoceano.
“Fuoco invisibile” è infatti un thriller che mescola tratti avventurosi, ricerche storiche, artistiche e letterarie. Il risultato è un romanzo che giova immensamente di suggestioni affascinanti, eppure scopre il fianco a qualche debolezza. Il romanzo di Sierra vanta uno stile di scrittura pregiato e molto, molto scorrevole. Ho completato le più di cinquecento pagine che conta in appena un paio di giorni, ed essendo un lettore che non ha mai potuto vantare una grande velocità di fruizione, si tratta di un risultato di assoluto rilievo. Il perché di un simile successo è presto detto. Sierra è essenziale, asciutto. Concede a descrizioni e world building un conteggio di parole davvero minimo, ed è un bene, data l'ambientazione contemporanea. È facile immaginare luoghi e situazioni, così come immedesimarsi nelle suggestioni che possono regalare. Sierra conosce molto bene le locations dei suoi racconti, ne ha una familiarità profonda, personalissima, arricchita da ricerche puntuali e approfondite. Cosciente di quanto sia importante la componente “paesaggistica” di questo tipo di narrazione, ci racconta Madrid e Barcellona, così come località minori e sperdute, con una dose di dettaglio e nozione storica che non può che essere applaudita. C'è esperienza e maestria nel modo di accennare al contemporaneo, e all'antichissimo, dell'autore. Così come sono interessanti i personaggi, su cui giganteggia Lady Goodman, scrittrice e mecenate che spingerà in protagonista, David, a imbarcarsi nell'avventura che gli cambierà la vita. Proprio David, purtroppo, è forse il character più debole del racconto. È bello, atletico, intelligente, sensibile, incredibilmente colto e sprizza da tutti i pori un'indole gentile. Inoltre, almeno sulla carta, ha un passato misterioso, costellato di profonde perdite emotive che dovrebbero condizionare il suo essere e le sue scelte. Eppure David ha la personalità di un marciapiede. È sempre, sempre, vittima degli eventi, le poche scelte che compie sono praticamente di no brainer, dettate dal succedersi del plot. Ci sono dei momenti in cui l'autore, forse nel vano tentativo di renderlo più attraente e sfaccettato, gli fa esprimere dialoghi interni degni di uno schiaffeggio impulsivo. Ho riso di gusto quando, dopo aver trascorso una notte insonne e stressante, David dice di aver urgente bisogno di fare una capatina alla palestra dell'hotel dove alloggia. Per schiarirsi le idee, a suo dire. Vai a dormire, David caro, ne giova la tua credibilità. Paragonato al personaggio a cui Sierra si ispira apertamente, quel Langdon creato da Dan Brown, che già non è uno dei protagonisti più riusciti di sempre, David ne esce con le ossa rotte a che quando non dovrebbe. Peccato. Ma non è lui la vera forza propellente del romanzo, quanto più il riuscito intreccio. Sierra si è documentato come si deve. In Fuoco Invisibile, ricerche storiche e speculazioni fittizie si incastrano alla perfezione e l'autore ci stupisce per l'abilità di mescolare narrazione presente alternata ai ricordi, oltre che sezioni puramente narrate che raramente risultano noiose. Pur essendo un romanzo che mira all'avventura e con un ritmo in generale piuttosto sostenuto, quest'opera di Sierra è spesso “raccontata”, con ampie parti in cui le voci dei protagonisti (o i loro scritti) ci parlano di eventi vicini o lontanissimi nel passato, senza farci gettare gli occhi al cielo per lo sconforto. È quasi un miracolo. Applausi. Purtroppo sul finale c'è un lunghissimo monologo, quello del cattivissimo “villian”, che risulta tanto formulaico quanto inutile. Uno scivolone difficile da perdonare, perché quel personaggio si portava appresso un carisma invidiabile... ma il modo in cui è esposto, in appena un paio di pagine, lascia l'amaro in bocca., Infine la love story. La bella coprotagonista è, per l'appunto, questo e basta. Bella. La chimica che la unisce a David è solo racconta, non ci sono elementi solidi che ci permettono di percepirla. Da un autore con alle spalle tante pubblicazioni, come Sierra, è lecito pretendere di più. E i moltissimi aspetti irrisolti della trama non aiutano a migliorare l'economia generale dell'opera. Eppure. Eppure Fuoco Invisibile è un dannato page turner. Si inizia a leggere e non si vuole più mollare, affascinati dai riferimenti letterari e per l'amore incondizionato per il puro atto di scrivere che trasuda. Incredibile ma vero, il risultato è migliore della somma delle parti. Se amate i thriller storici, e non vi stancate di leggere e rileggere Dan Brown e Glenn Cooper, in Fuoco Invisibile troverete tanto, tanto materiale interessante. Se invece di opere simili siete già sazi, l'ultimo Sierra potrebbe non riaccendere i vostri appetiti. Leggere Fuoco Invisibile è stato divertente, a suo modo appassionante, al netto di qualche scivolone difficile da perdonare. Quattro stelle di pancia, tre a mente fredda. Scegliete voi la valutazione che preferite. Nota a margine: Gli spagnoli su Goodreads l'hanno massacrato, non si sa davvero perché. Potrebbe essere per via della vittoria al Premio Planeta, che avrà sicuramente messo il romanzo sotto i riflettori più di quanto sarebbe stato per meriti, o demeriti, oggettivi. Resta una constatazione: Gli spagnoli scrivono recensioni cattivissime. Fanno paura, davvero. A cura di Abel Montero “Un diabolic non conosce la pietà. Un diabolic è potente. Un diabolic ha un solo compito: proteggere la persona per la quale è stato creato. E per farlo è disposto a tutto. Per Nemesis questa persona è Sidonia, unica erede del senatore von Impyrean, noto in tutta la galassia per i suoi contrasti con l’Imperatore.” Il nuovo romanzo di S.J Kincaid ha raggiunto gli scaffali pochi giorni fa e non ha mancato di catturare i nostri occhi che già ci avevano portato a un immediato, impulsivo acquisto della versione cartacea americana, circa due mesi fa.
Ecco perché dovreste dargli uno sguardo, e alcune debolezze che forse potrebbero farvi storcere il naso. TRE "IN" 1. Racconta un distopia Di nuovo, direte voi. Si, di nuovo. Ma Kincaid punta alla Space Opera e sembra voler omaggiare Dune e Star Wars più che Hunger Games. Il futuro pennellato in Diabolic è quello di un’umanità che ha conquistato le stelle e sembra aver dimenticato le sue origini terrestri. Astronavi, immense stazioni spaziali e guerrieri letali abbondano. State già salivando duro? Ne avete ogni motivo. 2. Nemesis Nemesis è un Diabolic, un essere artificiale che , come da descrizione, vive solo per proteggere la sua giovane padrona Sidonia. Pensa di conseguenza. Non conosce e non sa attribuire valore alle emozioni, non reputa importanti i legami familiari o l’amicizia. Il racconto è strutturato però in modo da far cambiare questo stato di cose e da evolvere la percettività di Nemesis. Noi vediamo il mondo in cui si muove acquistare nuove sfumature man mano che la prospettiva della protagonista si allarga. E questo ci piace molto. 3. Il culto L’universo di Diabolc è raffinato e stratificato, raccontato attraverso lo straniamento di Nemesis che comprende solo le ragioni della sua missione. L’adorazione che gli abitanti tributano all’universo stesso e l’odio, la paura che nutrono nei confronti della tecnologia (che usano ma non sviluppano più da secoli, con risultati spesso nefasti) fanno riflettere e affascinano. TRE "OUT" 1. Sidonia La legittima proprietaria di Nemesis è un personaggio piatto e sinceramente fastidioso: buona, dolce, intelligente e pazzamente affezionata a Nemesis, la difende a spada tratta. Uno sviluppo ragionato nelle sue vicende non è assente, ma noi abbiamo gettato più volte gli occhi al cielo in tutte le scene a lei dedicate. 2. Nemesis e Sidonia Il rapporto che le lega mostra il fianco a delle critiche piuttosto evidenti. Nemesis non dovrebbe poter provare attaccamento emotivo nei confronti della giovane “proprietaria” (e glielo ripete spesso a voce alta), ma spesso i dialoghi che scambia con lei sono oltremodo stucchevoli. Non se ne sentiva proprio il bisogno. 3. L’edizione italiana Siamo sinceramente stufi della scarsa qualità della carta e delle copertine rigide made in Mondadori. Sono sporchevoli, si deteriorano troppo velocemente e difficilmente sopravvivono a una seconda rilettura. Potrebbe capitarvi di prestare il libro al migliore dei vostri amici e vederlo tornare a brandelli, letteralmente, per la scarsità dei materiali scelti. L’edizione originale americana di Simon&Shuster, al confronto, sembra scolpita a mano nel marmo. LO COMPRO? Decisamente si. Diabolc è scritto con una certa eleganza e omaggia alcuni grandi classici con stile. Scorre velocemente, inciampa solo lievemente, intrattiene senza farci ripensare alle fondamenta della nostra realtà e allo stesso tempo non risulta scontato. E non è poco. Vi consigliamo di puntare sull’edizione in ebook, o di attendere una brossura. E poi c’è sempre l’edizione americana, se masticate l’inglese. A cura di Abel Montero |
AutoreLe mie storie d’amore per la narrazione, ovunque. Archivi
Dicembre 2023
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